[WHO]
Dopo la morte di David Bowie, avvenuta ad inizio 2016 mi sono ritrovato in una situazione di stallo. Sentivo di dover fare qualcosa, di muovermi verso una direzione mai intrapresa prima, perlomeno per quanto riguarda me stesso.
La prima cosa naturale a cui pensato è stato esattamente quella di creare un suo memoriale in paint, con il mio dito sul trackpad del mio pc.
Non c’è stata una mediazione di pensiero, tutto è venuto naturale, secondo un processo indiretto di pensiero ed azione che è poi scaturito nella rivalutazione di un software da contestualizzare in una nuova realtà, molto più progredita e lontana rispetto alle capacità stesse del programma.
Ho iniziato a sentire l’impulso di dover disegnare qualsiasi persona morisse, passando ben presto agli animali ed a concetti, per poi passare ad eventi storici stessi. Non esiste un reale sviluppo di un pensiero costruito all’interno di questa dimensione, ma semplice atto ed impulso.
Arrivando a ragionare, poi, a tutto quello che fino a quel punto ero arrivato a concepire, ho notato come il mio rapporto con la morte fosse una ricerca. La morte è essenzialmente l’unica definizione di vita. Il fatto di accumunare diverse figure a livello di memoriale non vuole agire a scredito di una, piuttosto che l’altra figura; l’azione che viene intrapresa è la sospensione del giudizio, l’eliminazione di qualsiasi contesto. La morte stessa diventa l’unico reale metodo di sospensione del giudizio, da cui ogni essere conosciuto trascende ed a cui bisogna necessariamente fare a capo.
L’esistenza stessa non la si può sublimare in una figura, in un frammento, ma nemmeno in una canonizzazione della forma. L’utilizzo di MS Paint mi da la libertà necessaria di sperimentare diverse dimensioni, sondare l’errore per poter dialogare liberamente con il software stesso permettendo all’errore di prendere forma a priori rispetto alla mia volontà.
Non c’è volontà nella morte, ma solo nel tempo trascorso cercandola